Un paio di anni fa alla Triennale di Milano è stata portata una mostra di Stefano Boeri dal titolo Unknown Unkowns. Un omaggio alla “parte sconosciuta” del micro e macro universo, al lato sconosciuto che ci fa paura, ma che può diventare terreno fertile per un incontro tra arti e scienze. Un vero e proprio invito a ridisegnare ciò che verrà su basi nuove.
Stefano Boeri spiegava perché e come la nostra fragilità può diventare uno strumento di crescita. Con una nuova fiducia in quelle che chiama le "capacità autocritiche e creative" di quella stessa cultura invita a guardare al futuro con occhi nuovi e mobili.
Molte organizzazioni alla domanda “ci sono casi di esclusione nella vostra azienda?” rispondono con sicurezza “no”. È difficile ammettere, accettare, riconoscere, realtà che possono apparire scomode, oppure assolutamente naturali. Ma che naturali non sono. Rendere visibile, l’invisibile è uno degli scopi che ci siamo dati come Wyde. Dar valore alla diversità che rende le relazioni umane vitali.
L’identità porta valore
Il segreto per far funzionare la diversità è applicare il concetto a più livelli attraverso una prospettiva pragmatica che non si basi su indicatori di diversità ma sul valore che le persone portano, sui tratti personali di ognuno e su come questi si possano integrare alla cultura aziendale.
La maggior parte delle persone pensa che la diversità sul posto di lavoro riguardi l'aumento della rappresentanza razziale, nazionale, di genere o di classe, il reclutamento e il mantenimento di più persone provenienti da identità tradizionalmente sotto rappresentate. Questo approccio però, incoraggia le persone a mimetizzarsi, mettendo in ombra il loro vero io per abbracciare l’appartenenza al team.
Le differenze tra le persone non si fermano alla razza, al genere, all'età, alle disabilità e al sesso. Ciò che ci definisce prima di tutto sono i nostri valori e le nostre azioni: che musica ascoltiamo, le nostre opinioni politiche, il nostro senso dell’umorismo, gli sport che seguiamo, come trascorriamo i fine settimana, se ci piace di più il mare o la montagna, se siamo introversi o estroversi.
Inserite in un ambiente di lavoro le persone non dovrebbero perdere le loro differenze. È per questo che invitare ogni persona del proprio team a “riconoscersi” è il primo passo verso un team diverso e incluso. Lo possono fare i colleghi, lo può fare il manager, fa parte del suo ruolo assicurarsi che ognuno riesca a realizzarsi nella consapevolezza di chi è.
La metafora dell’albero
Dentro Wyde usiamo l’immagine di un albero per raccontare la bellezza del concetto di identità. L'albero ha radici che rappresentano tutti gli aspetti dell'identità che abbiamo dalla nascita e che non possiamo scegliere.
Le radici sono quegli elementi che non abbiamo avuto la possibilità di scegliere: etnia o genere, disabilità, che potrebbero metterci in vantaggio o svantaggio rispetto ad altri. I rami, le foglie e i fiori sono gli aspetti della nostra identità che abbiamo acquisito in relazione con l'ambiente esterno. Fanno parte di questa categoria, l'istruzione che abbiamo ricevuto, le preferenze nel cibo o nella musica, lo stile di vita, di vestirci, di circondarci di cose che ci corrispondono, di persone che consideriamo amiche. Queste caratteristiche sono direttamente collegate al nostro valore di individui.
Ma facciamo ancora un passo in avanti. Come gli esseri umani, gli alberi nascono in ambienti “comunitari” che, nel loro caso, sono le foreste. Quando in natura guardiamo un bell’albero non ci rendiamo conto di come la ramificazione delle sue radici o l’esposizione al sole lo possa avere avvantaggiato rispetto a un altro albero. Oppure, ci concentriamo sui suoi fiori, e non ci rendiamo conto di come essi siano opera delle api o della presenza di un “buon vicino”.
Un vero gruppo si crea quando ciascun membro ha lo spazio per farsi riconoscere e trova nella collettività uno scopo, un ruolo, la possibilità di essere qualcosa di più per se stesso e per gli altri. Unicità e appartenenza, sono le direzioni sulle quali costruire ambienti realmente inclusivi.
In Wyde lavoriamo molto per trovare il modo migliore per facilitare le interazioni negli ambienti di lavoro, per creare opportunità di inclusione, valorizzare l’unicità di ognuno, collaboratore, collega, candidato, permettere alla bellezza che esiste nell’essere parte di un gruppo di circondarci. Essere insieme, diversi e riconosciuti nella propria singolarità.
I bias: questi sconosciuti
Il primo piccolo gesto che ognuno di noi può fare per contribuire a costruire ambienti più inclusivi è osservare i propri bias.
I bias sono processi cognitivi che la nostra mente mette in campo in automatico nella valutazione di fatti e avvenimenti. Lo fa per risparmiare energia, per prendere decisioni più veloci, lo ha fatto per farci evolvere e sopravvivere. I bias ci proteggono. Il rovescio della medaglia è che con sé possono portare la fallacia di un pensiero, e cioè che una situazione non sia veramente così come crediamo.
Quando prendiamo coscienza dei bias, possiamo creare relazioni più autentiche e più positive con le persone intorno a noi. Spalancare l’attitudine a creare team diversi, che vuol dire, da una parte che contengono la diversità, dall’altra che si distinguono in quanto irripetibili, singolari, unici.
Con Bloom ci ritroviamo il prossimo mese. Nel frattempo, stay Wyde!
Bloom, un luogo digitale in cui coltivare le idee, veder germogliare le connessioni e nutrire le radici della nostra comunità con cura,attenzione. Ci troverai nella tua casella e-mailuna volta al mesee, senza abusare del tuo tempo, condivideremo un momento di riflessione sui temi che ci appassionano e ci uniscono.
WYDE - The Connective School, Via Pastrengo 14, Milan, Italy 20159